Agli amici della Valle Tiberina

Poesia di Giosuè Carducci

Pur da queste serene erme pendici
D'altra vita al rumor ritornerò;
Ma nel memore petto, o nuovi amici,
Un desio dolce e mesto io porterò.
Tua verde valle ed il bel colle aprico
Sempre, o Bulcian, mi pungerà d'amor;
Bulciano, albergo di baroni antico,
Or di libere menti e d'alti cor.
E tu che al cielo, Cerbaiol, riguardi
Discendendo da i balzi d'Apennin, 
Come gigante che svegliato tardi 
S'affretta in caccia e interroga il mattin,
Tu ancor m'arridi. E, quando a i freschi venti 
Di su l'aride carte anelerà
L'anima stanca, a voi, poggi fiorenti, 
Balze austere e felici, a voi verrà. 
Fiume famoso il breve piano inonda; 
Ama la vite i colli; e, a rimirar
Dolce, fra verdi querce ecco la bionda 
Spiga in alto a l'alpestre aura ondeggiar. 
De i vecchi prepotenti in su gli spaldi
Pasce la vacca e mira lenta al pian;
E de le torri, ostello di ribaldi,
Crebbe l'utile casa al pio villan.
Dove il bronzo de' frati in su la sera
Solo rompeva, od accrescea, l'orror,
Croscia il mulino, suona la gualchiera
E la canzone del vendemmiator. 
Coraggio, amici. Se di vive fonti 
Corse, tocco dal santo, il balzo alpin,
A voi saggi ed industri i patrii monti
Iscaturiscan di fumoso vin:
Del vin ch'edúca il forte suolo amico
Di ferro e zolfo con natia virtú:
Col quale io libo al padre Tebro antico,
Al Tebro tolto al fin di servitù. 
Fiume d'Italia, a le tue sacre rive 
Peregrin mossi con devoto amor 
Il tuo nume adorando, e de le dive 
Memorie l'ombra mi tremava in cor. 
E pensai quanto i tuoi clivi Tarconte
Coronato pontefice salì,
E, fermo l'occhio nero a l'orizzonte,
Di leggi e d'armi il popol suo partì;
E quando la fatal prora d'Enea
Per tanto mar la foce tua cercò,
E l'aureo scudo de la madre dea
In su l'attonit'onde al sol raggiò; 
E quando Furio e l'arator d'Arpino,
Imperador plebeo, tornava a te,
E coprivan l'altar capitolino
Spoglie di galli e di tedeschi re. 
Fiume d'Italia, e tu l'origin traggi
Da questa Etruria ond'è ogni nostro onor; 
Ma, dove nasci tra gli ombrosi faggi, 
L'agnel ti salta e túrbati il pastor.
Meglio cosí, che tra marmoree sponde
Patir l'oltraggio de' chercuti re,
E con l'orgoglio de le tumid'onde 
L'orme lambire d'un crociato piè.
Volgon, fiume d'Italia, omai tropp'anni 
Che la vergogna dura: or via, non piú. 
Ecco, un grido io ti do—Morte a' tiranni —;
Portalo, o fiume, a Ponte Milvio, tu.
Portal con suono ch'ogni suon confonda,
Portal con le procelle d'Apennin,
Portalo, o fiume; e un'eco ti risponda
Dal gran monte plebeo, da l'Aventin.
Tende l'orecchio Italia e il cenno aspetta:
Allor chi fia che la vorrà infrenar ?
Cento schiere di prodi a la vendetta
Da le tue valli verran teco al mar. 
Risplendi, o fausto giorno. Ahi, se piú tardi,
Romito e taumaturgo esser vorrò:
Da la faccia de' rei figli codardi 
Ne le tombe de' padri io fuggirò. 
Con l'arti vo' che cielo o inferno insegna
Da questi monti il foco isprigionar,
E fiamme in vece d'acqua a Roma indegna, 
Al Campidoglio vile io vo' mandar.