La leggenda di Teodorico

Poesia di Giosuè Carducci

Su 'l castello di Verona
Batte il sole a mezzogiorno,
Da la Chiusa al pian rintrona
Solitario un suon di corno,
Mormorando per l'aprico
Verde il grande Adige va;
Ed il re Teodorico
Vecchio e triste al bagno sta.
Pensa il dí che a Tulna ei venne
Di Crimilde nel conspetto
E il cozzar di mille antenne
Ne la sala del banchetto,
Quando il ferro d'Ildebrando
Su la donna si calò 
E dal funere nefando
Egli solo ritornò.
Guarda il sole sfolgorante
E il chiaro Adige che corre,
Guarda un falco roteante
Sovra i merli de la torre; 
Guarda i monti da cui scese
La sua forte gioventú, 
Ed il bel verde paese 
Che da lui conquiso fu.
Il gridar d'un damigello
Risonò fuor de la chiostra:
— Sire, un cervo mai sí bello
Non si vide a l'età nostra. 
Egli ha i pié d'acciaro a smalto, 
Ha le corna tutte d'òr.
— Fuor de l'acque diede un salto
Il vegliardo cacciator. 
— I miei cani, il mio morello,
Il mio spiedo — egli chiedea;
E il lenzuol quasi un mantello
A le membra si avvolgea.
I donzelli ivano. In tanto
Il bel cervo disparí,
E d'un tratto al re da canto 
Un corsier nero nitrí. 
Nero come un corbo vecchio,
E ne gli occhi avea carboni.
Era pronto l'apparecchio,
Ed il re balzò in arcioni.
Ma i suoi veltri ebber timore
E si misero a guair,
E guardarono il signore
E no 'l vollero seguir.
In quel mezzo il caval nero
Spiccò via come uno strale
E lontan d'ogni sentiero
Ora scende e ora sale: 
Via e via e via e via,
Valli e monti esso varcò. 
Il re scendere vorría,
Ma staccar non se ne può. 
Il più vecchio ed il più fido
Lo seguía de' suoi scudieri,
E mettea d'angoscia un grido
Per gl'incogniti sentieri: 
— O gentil re de gli Amali,
Ti seguii ne' tuoi be' dí,
Ti seguii tra lance e strali,
Ma non corsi mai cosí. 
Teodorico di Verona,
Dove vai tanto di fretta? 
Tornerem, sacra corona,
A la casa che ci aspetta? — 
— Mala bestia è questa mia, 
Mal cavallo mi toccò:
Sol la Vergine Maria
Sa quand'io ritornerò. — 
Altre cure su nel cielo
Ha la Vergine Maria: 
Sotto il grande azzurro velo
Ella i martiri covría,
Ella i martiri accoglieva
De la patria e de la fé;
E terribile scendeva 
Dio su 'l capo al goto re. 
Via e via su balzi e grotte
Va il cavallo al fren ribelle:
Ei s'immerge ne la notte,
Ei s'aderge in vèr' le stelle.
Ecco, il dorso d'Appennino
Fra le tenebre scompar,
E nel pallido mattino
Mugghia a basso il tosco mar.
Ecco Lipari, la reggia
Di Vulcano ardua che fuma
E tra i bòmbiti lampeggia
De l'ardor che la consuma: 
Quivi giunto il caval nero 
Contro il ciel forte springò
Annitrendo; e il cavaliero
Nel cratere inabissò. 
Ma dal calabro confine
Che mai sorge in vetta al monte?
Non è il sole, è un bianco crine; 
Non è il sole, è un'ampia fronte
Sanguinosa, in un sorriso
Di martirio e di splendor:
Di Boezio è il santo viso,
Del romano senator.