L’Elegia in petèl

Poesia di Andrea Zanzotto

Dolce andare elegiando come va in elegia l’autunno,
raccogliersi per bene accogliere in oro radure,
computare il cumulo il sedimento delle catture
anche se da tanto prèdico e predico il mio digiuno.
E qui sto dalla parte del connesso anche se non godo
di alcun sodo o sistema:
il non svischiato, i quasi, dietro:
vengo buttato a ridosso di un formicolio
di dèi, di un brulichio di sacertà.
Là origini – Mai c’è stata origine.
Ma perché allora in finezza e albore tu situi
la non scrivibile e inevitata elegia in petèl?
“Mamma e nona te dà ate e cuco e pepi e memela.
Bono ti, ca, co nona. Béi bumba bona. È fet foa e upi”
Nessuno si è qui soffermato – Anzi moltissimi.
Ma ogni presenza è così sua di sé
e questo spazio così oltrato oltrato… (che)
«Nel quando ║ O saldamente costrutte Alpi
E il principe ║ Le »
appare anche lo spezzamento saltano le ossa arrotate:
ma non c’è il latte petèl, qui, non il patibolo,
mi ripeto, qui no; mai stata origine mai disiezione.
Non spezzo nulla se non spezzato ma súbito riattato,
spezzo pochissimo e do imputazione – incollocabili –
a mimesi ironia pietà;
qui terrore: ma ridotto alla sua più modica modalità.
Per quel tic-sì riattato, così verbo-Verbo,
faccio ponte e pontefice minimo su
me e altre minime faglie.
L’assenza degli dèi, sta scritto, ricamato, ci aiuterà
– non ci aiuterà –
tanto l’assenza non è assenza gli dèi non dèi
l’aiuto non è aiuto. E il silenzio sconoscente
pronto a tutto,
questo oltrato questo oltraggio, sempre, ugualmente
(poco riferibile) (restio ai riferimenti)
(anzi il restio, nella sua prontezza):
e il silenzio-spazio, provocatorio, eccolo in diffrazione,
si incupisce frulla di storie storielle, vignette
di cui si stipa quel malnato splendore, mai nato,
trovate pitturanti, paroline-acce a fette e bocconi, pupi,
barzellette freddissime fischi negli orecchi
(vitamina A dosi alte per trattarli
ma non se sono somatismi di base psichica),
e lei silenzio-spazio
e lei allarga le gambe e mostra tutto;
vedo il tesissimo e libertino splendore
e il fascino e il risolino e il fatto brutto
e correre la polizia e – nel vacuum nell’inane
ma raggiante – il desiderio di denaro fresco si fa più ardente
di dominio fresco di ideologia fresca;
anzi vedo a braccetto Hölderlin e Tallémant des Réaux
sovrimpressione sovrimpressiono
ma pure
ma alla svelta
ma tutto fa brodo
(cerchiamo, bambini, di essere buoni
nel buon calore, le tue brune tettine,
il pretestuarsi per ogni movimento
in ogni momento,
calore non mai tardo nel capire
come credono “certe persone”
anzi astuto come uno di voi
quando imbroglia grilli erbe genitori,
sappiate scrivere ma non leggere, non importa,
iscrivetevi a, per, pretestuarvi all’istante)
ma: non è vero che tutto fa brodo,
ma: e rinascono i ma: ma
Scardanelli faccia la pagina per Tallémant des Réaux,
Scardanelli sia compilato con passi dell’Histoire d’O.
Ta bon ciatu? Ada ciòl e úna e tée e mana papa.
Te bata cheto, te bata: e po mama e nana.
“Una volta ho interrogato la Musa”