I.
È mezzodì: sul vasto arido piano
Il sol d'Affrica splende, e tutto tace:
Ed è fatta la tenda una fornace
E il bicchiere che afferro arde la mano.
Invano attendo un soffio d'aria, invano
Cerco il sonno sul mio letto di brace…
Della campagna ne la morta pace
Non s'ode l'eco d'un accento umano.
Il suol si fende e par che l'acqua invochi,
E suona il bianco ciel d'alti latrati
E di nitriti dolorosi e fiochi;
Ed io, muto, pei fori della tenda.
Ansando, con gli stanchi occhi infocati
Spio l'infinita arcana Affrica orrenda.
II.
E ripenso alla rorida e tranquilla
Beltà dei boschi ventilati e scuri,
E a le cupe cantine ove dai muri
L'acqua gelata, risonando, stilla;
Penso alla birra che spumeggia e brilla
Nei cristalli appannati, ai freschi e puri
Fonti del Canavese, ai pezzi duri
Che ho divorati a Napoli a la Villa;
E penso al mar d'Oneglia ove bambino
Tuffai la testa, e al venticel fragrante
Che increspava il gentil flutto azzurrino;
E sudo e sbuffo e mi tormento il core,
E forse — ahi lampo orrendo ! — in questo istante
Sta pigliando le docce l'Editore.