Lutto

Poesia di Gabriela Mistral

In una notte spuntò dal mio petto,
salì, crebbe la pianta di lutto,
urtò le ossa, aprì le carni,
la sua cima raggiunse il mio capo.
Sulle spalle, sopra il dorso,
gettò fronde, spinse rami
e in tré giorni ne fui coperta,
ricca come del mio sangue.
Dove mi palpano adesso?
Che braccio darò che non sia lutto?

Al modo delle fumate
non son più fiamma ne brace.
Son questa spirale e liana,
questo cerchio di fumo denso.

Ancora quelli che giungono
mi chiamano a nome, mi vedono il viso;
ma io che soffoco mi vedo
albero divorato e fumoso,
buio notturno, carbone consunto,
ginepro fitto, falso cipresso,
certo per gli occhi, sfuggente alla mano,

In una notte appena si fece il mio lutto
nel labirinto del mio corpo
e soverchiò il mio respiro
notte e fumo che chiaman lutto
e che mi avvolge e mi accieca.

Il mio ultimo albero non è sulla terra,
non vien da seme ne è di legno,
non fu piantato, non pericola.
Son io stessa il mio cipresso,
il mio dar ombra e il mio contorno,
il mio sudario non cucito,
il mio sogno che cammina
pianta di fumo, ad occhi aperti.

Nel tempo che dura una notte
cadde il mio sole, sparì il mio giorno,
la mia carne si fece fumo
che un bimbo taglia con la mano.

II colore sfuggì alle mie vesti,
svanirono il bianco, l’azzurro,
e al mattino mi trovai
ch’ero un pino di faville.

Vedono andare un pino di fumo,
m’odono dietro il mio fumo parlare
e saran stanchi di amarmi,
di vivere e di mangiare
sotto un triangolo oscuro
ingannevole e crocefisso
che non getta più la resina
e non ha radici e germogli.
Un solo colore nelle stagioni,
nient’altro che un fianco di fumo
e mai un grappolo di pigne
per fare il fuoco, la cena e la gioia.