Pianto di Roma

Poesia di Luigi Pirandello

E come in campo o per sentieri schivi,
di tra le selci mal commesse, l ’erba
dunque sorgea per le tue vie? Dormivi,
tu Roma, allora, chiusa in te, superba,
e sol quei fili d ’erba erano vivi.
 
Dell ’alto sonno suo parea volesse
fruir la Terra; e già destava, sotto
le selci, le sue zolle a lungo oppresse
dal tramestío o del viver tuo trarotto.
Oggi, un fil d ’erba; doman, qui, la messe.
 
Altre città cosí, dove fermento
fu già di vita e allo splendor compagna
la gloria, si riprese ella: Agrigento!
Soli or due templi in mezzo alla campagna:
null ’altro. Alberi e zolle. Anima, il vento.
 
Ah, meglio, o Roma, se anche in te compiuto
la terra avesse l ’opera sua lenta!
Salve sol le rovine, e il resto un muto
campo! Meglio se fosse all ’aura intenta
un popolo di querci qui cresciuto!
 
Un popolo di nani ora t ’ha invasa
e profanata, osando, o Roma, dentro
il tuo grembo divino la sua casa,
covo d ’ignavia, erigere, e far centro
te d ’ogni sua miseria. E l ’erba ha rasa;
 
l ’erba che, mentre t ’obbliavi assorta
nel tuo gran sogno, timida spuntava;
l ’erba che certo non sarebbe corta
sempre rimasta al pari dell ’ignava
turba che la divelse. Ah, di te morta,
 
meglio le querci, o Roma, e il faggio e il pino
alto stormenti avrebber nella notte
favellato al commosso pellegrino,
sacri fantasmi suscitando a frotte
dal tuo mistero: bosco, tu, divino.
 
Ostia per voi, Ostia per voi, pezzenti
nani, bastava. La grandezza enorme
di Roma come non vi fe ’ sgomenti?
Sia della Terra la Città che dorme!
Un bosco. E sopra, l ’ala ampia dei venti.