La bottega del pesce

Poesia di Nikolaj Zabolockij

Traduzione di Paolo Statuti
Ed ecco, scordata l’astuzia della gente,
entriamo in un altro regno…
Qui il corpo rosato d’uno storione,
del più bello di tutti gli storioni,
pendeva a braccia distese,
con la coda infilata in un gancio.
Sotto di lui un salmone ardeva di carne,
le anguille simili a salami,
con affumicato sfarzo e pigramente
fumavano, piegati i ginocchi,
e tra loro come una gialla zanna
sedeva su un piatto il re-balyk.
 
O sontuoso monarca della pancia,
dio e sovrano dell’intestino,
capo segreto dello spirito
e architriclino di riflessioni, –
io ti voglio! Concediti a me,
lasciami divorarti fino alla gola!
La mia bocca freme – tutta nel fuoco,
gli intestini tremano come ottentotti,
lo stomaco, teso nella passione,
a rivoli il succo della fame secerne –
ora si stende come un drago,
ora di nuovo si comprime quanto può,
la saliva turbina e nella bocca borbotta
e le mandibole sono doppiamente serrate, –
io ti voglio! Concediti a me!
 
Dappertutto rimbombano le conserve,
mugghiano la marene saltate in una secchia,
i coltelli, sporgendosi dalle piccole ferite,
oscillano e tintinnano;
il vivaio arde di luce subacquea,
dove dietro la parete di vetro
nuotano le scàrdove deliranti
per l’abbaglio, la tristezza,
il dubbio, e forse per l’angoscia?
E la morte su di loro , come mercante,
muove una fiocina di bronzo.
 
La bilancia recita il «Padre nostro»,
due pesi, tranquilli sul piatto,
determinano il corso della vita,
e la porta tintinna. i pesci si azzuffano,
e la branchie respirano al contrario!