Ed ecco, scordata l’astuzia della gente,
entriamo in un altro regno…
Qui il corpo rosato d’uno storione,
del più bello di tutti gli storioni,
pendeva a braccia distese,
con la coda infilata in un gancio.
Sotto di lui un salmone ardeva di carne,
le anguille simili a salami,
con affumicato sfarzo e pigramente
fumavano, piegati i ginocchi,
e tra loro come una gialla zanna
sedeva su un piatto il re-balyk.
O sontuoso monarca della pancia,
dio e sovrano dell’intestino,
capo segreto dello spirito
e architriclino di riflessioni, –
io ti voglio! Concediti a me,
lasciami divorarti fino alla gola!
La mia bocca freme – tutta nel fuoco,
gli intestini tremano come ottentotti,
lo stomaco, teso nella passione,
a rivoli il succo della fame secerne –
ora si stende come un drago,
ora di nuovo si comprime quanto può,
la saliva turbina e nella bocca borbotta
e le mandibole sono doppiamente serrate, –
io ti voglio! Concediti a me!
Dappertutto rimbombano le conserve,
mugghiano la marene saltate in una secchia,
i coltelli, sporgendosi dalle piccole ferite,
oscillano e tintinnano;
il vivaio arde di luce subacquea,
dove dietro la parete di vetro
nuotano le scàrdove deliranti
per l’abbaglio, la tristezza,
il dubbio, e forse per l’angoscia?
E la morte su di loro , come mercante,
muove una fiocina di bronzo.
La bilancia recita il «Padre nostro»,
due pesi, tranquilli sul piatto,
determinano il corso della vita,
e la porta tintinna. i pesci si azzuffano,
e la branchie respirano al contrario!